Con questa pagina ci proponiamo di analizzare per quale ragione la presenza femminile nelle scuole di arti marziali sia numericamente inferiore rispetto a quella maschile. Riteniamo che la ragione sia essenzialmente di natura sociale: la società fatica ad accettare che una donna si sottoponga a duri allenamenti volti ad apprendere tecniche di difesa personale in quanto il combattimento è da sempre visto come prerogativa maschile e, quindi, assai poco “femminile”. Si continua a pensare a uomini e donne come entità psicologicamente, e non solo fisicamente, diverse: l’uomo sicuro, determinato, forte, votato all’azione e la donna fragile, sentimentale, insicura e votata alla passività.
Ci si appella spesso ad un astratto concetto di “femminilità” che a ben vedere non ha nulla di naturale ma è invece semplicemente espressione degli stereotipi di maschio e femmina accettati dalla società.
L’attitudine al combattimento infatti, seppur più presente nei maschi, non è una loro esclusiva prerogativa in quanto, banalmente, anche le donne devono essere in grado di difendersi.
Esse si trovano di fronte ad una scelta: da un lato allenarsi per reagire ad eventuali aggressioni, dall’altro semplicemente sperare di non essere mai oggetto di violenza. Fare la prima scelta significa ripudiare il ruolo di vittima designata, fare la seconda scelta significa accettare passivamente il fato e le sue ingiustizie. La cultura giapponese insegna a non arrendersi alle difficoltà, se si viene aggrediti occorre reagire e combattere.
Non si può confidare solo nella fortuna ( “speriamo che non accada a me…”) o nell’eventuale ( e mai garantito) aiuto delle altre persone. Tutti possono essere oggetto di aggressioni, tutti possono trovarsi in situazioni pericolose.
Illudersi di essere più fortunati degli altri e pensare che certe cose accadano solo alle altre persone è semplicemente un meccanismo mentale che aiuta a vivere più serenamente ma, purtroppo, non in modo consapevole.
I pericoli infatti esistono indipendentemente dal fatto che noi vi prestiamo o meno attenzione. La vita di tutti i giorni non è più sicura solo perché nella nostra mente facciamo finta che lo sia.
Tutti coloro che subiscono una aggressione rimangono sempre sorpresi che sia successo proprio a loro! Allora non rimane altra scelta che “sperare il meglio ma prepararsi al peggio”, occorre imparare a difendersi.
Il Ju Jutsu Tradizionale Giapponese è una disciplina che si adatta perfettamente tanto al sesso maschile quanto a quello femminile: la forza non solo non risulta essere importante ma addirittura controproducente. Questo è concetto difficile da capire per noi occidentali ma, praticando il Ju Jutsu, si capisce perfettamente perchè si constata l’efficacia delle tecniche studiate.
Una grande massa muscolare non è necessaria. Sono invece la preparazione della praticante e la sapiente applicazione dei principi appresi in allenamento a rendere la tecnica di combattimento efficace.
Ciò che caratterizza i praticanti di Ju Jutsu Tradizionale non è la prestanza fisica quanto l’atteggiamento mentale, il controllo del proprio corpo e di quello dell’avversario, tutti aspetti che possono essere appresi indipendentemente dal sesso di appartenenza.
Attraverso la pratica del Ju Jutsu le donne potranno quindi sopperire alla minore forza fisica che hanno rispetto agli uomini e potranno abbandonare il ruolo di vittime predestinate.
Comprendere come ed in che direzione generare squilibrio, distinguere una posizione corretta da una sbagliata, eseguire una caduta, colpire scaricando nel colpo il peso del corpo ( e non solo la forza che si ha nel braccio…. ) non dipende dal sesso bensì dall’abilità del singolo praticante e dalla sua dedizione a tale disciplina.
Proprio in virtù della differente, ed indubbia, forza muscolare tra i due sessi, una disciplina basata sulla tecnica, e non appunto sulla forza, risulta essere quanto più appropriata per una donna.
Il Ju Jutsu fornirà le basi per reagire ad un sopruso o ad una violenza e farà la differenza tra l’essere vittima od individuo in grado di difendersi.